La colpa del conducente nei casi di attraversamento fuori dalle strisce del pedone

Nei casi di attraversamento stradale del pedone, il fatto che questo avvenga lontano dalle strisce non basta, di per sé, ad escludere la responsabilità dell’investitore: è ciò afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 6514/2021 dello scorso marzo.
Nel caso di specie, la vittima attraversò una strada trafficata lontano dalle strisce pedonali e venne travolto da un autocarro in transito, il cui autista non si avvide della presenza dell’uomo.
In primo grado il Tribunale aveva rigettato le domande risarcitorie avanzate dagli eredi della vittima ma la sentenza fu riformata dalla Corte d’Appello di Roma che riconobbe una responsabilità concorsuale paritaria nella causazione dell’incidente.
La Suprema Corte di Cassazione ha confermato il proprio indirizzo interpretativo in relazione alla norma di cui all’art. 2054 del Codice Civile: tale norma prevede infatti, in capo al conducente, una responsabilità per colpa presunta.

Il conducente può liberarsi da tale presunzione solo dimostrando di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, trattandosi infatti di una presunzione relativa che può essere vinta dalla prova contraria consistente nella dimostrazione della mancanza di colpa.
Secondo quanto espresso dalla Cassazione quindi il conducente di un veicolo deve controllare la strada e limitare la velocità, fino a fermarsi, non solo quando i pedoni presenti sul suo percorso non si spostino, ma anche quando i medesimi, pur trovandosi a lato della strada, sembrano in procinto di iniziare ad attraversarla.

Dall’altro lato ovviamente la predetta presunzione di colpa in capo al conducente non esclude ovviamente che vi possa essere un concorso di colpa del pedone nella causazione dell’incidente, qualora risulti che il medesimo abbia tenuto una condotta imprudente o negligente o non rispettosa delle norme del Codice della Strada.

Nel caso in esame la Cassazione ha confermato la sentenza di secondo grado e ha concluso che il pedone abbia dato parzialmente causa all’investimento, in quanto “in violazione della regole di comportamento secondo il codice della strada, senza accertarsi di poter completare il percorso in condizioni di sicurezza, attraversava inopinatamente fuori dalle strisce, non controllando all’istante la luce semaforica e concorrendo, con la sua condotta alla produzione del sinistro, con l’effetto di attenuare la responsabilità del conducente dell’autocarro”.

16 aprile 2021

Avv. Davide Lovato

INAIL: sottoscritto il protocollo con le parti sociali per l’attivazione di punti di vaccinazione Covid-19 nei luoghi di lavoro

La somministrazione riguarderà tutti i lavoratori interessati, con qualsiasi tipologia di contratto, e potrà avvenire in azienda, presso strutture sanitarie private e nei casi previsti in quelle dell’Inail. Aggiornato e rinnovato anche il protocollo condiviso per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus all’interno delle imprese, che tiene conto dei vari provvedimenti adottati negli ultimi mesi. La scelta della vaccinazione resta ovviamente a libera scelta del lavoratore.

La disponibilità dei vaccini anti-Covid e la loro diffusione su tutto il territorio nazionale riveste un ruolo decisivo anche per la ripresa delle attività sociali e lavorative in piena sicurezza. È questa la premessa del protocollo sottoscritto il 6 aprile da istituzioni, organizzazioni sindacali e datoriali per la realizzazione dei piani aziendali finalizzati all’attivazione di punti di vaccinazione straordinari e temporanei nei luoghi di lavoro. L’obiettivo è concorrere alla rapida esecuzione della campagna vaccinale attraverso il coinvolgimento diretto delle realtà produttive, nella convinzione che soltanto un’azione generale e coordinata può abbattere i tempi della vaccinazione, ampliare la tutela e consentire di proteggere la salute collettiva.

L’INAIL ha predisposto i sei “presupposti imprescindibili” di seguito elencati:

I compiti del datore di lavoro e del medico competente. Articolato in 16 punti, il nuovo protocollo precisa che le vaccinazioni potranno essere somministrate a tutti i lavoratori interessati, a prescindere dalla tipologia contrattuale con cui prestano la loro attività in favore dell’impresa, ai datori di lavoro e ai titolari. All’atto della presentazione del piano di vaccinazione aziendale, il datore di lavoro dovrà specificare il numero di vaccini richiesti, in modo da consentire all’azienda sanitaria di riferimento la necessaria programmazione dell’attività di distribuzione. Il medico competente è tenuto a fornire ai lavoratori adeguate informazioni sui vantaggi e sui rischi connessi alla vaccinazione e sulla specifica tipologia di vaccino, assicurando allo stesso tempo l’acquisizione del consenso informato dei soggetti interessati (quindi trattasi di una scelta volontaria del lavoratore), il previsto triage preventivo relativo al loro stato di salute, la tutela della riservatezza dei dati e la registrazione delle vaccinazioni eseguite.

Le dosi saranno messe a disposizione dai Servizi sanitari regionali. La somministrazione del vaccino dovrà avvenire in locali idonei ed è riservata a operatori sanitari in grado di garantire il pieno rispetto delle prescrizioni adottate per tale finalità e in possesso di adeguata formazione per la vaccinazione anti SARS-CoV-2/Covid-19. I costi per la realizzazione e la gestione dei piani aziendali sono interamente a carico del datore di lavoro, mentre la fornitura dei vaccini, dei dispositivi per la somministrazione (siringhe/aghi) e degli strumenti formativi e per la registrazione delle vaccinazioni eseguite è assicurata dal Servizio sanitario regionale competente per territorio.

Prevista la possibilità di stipulare convenzioni anche tramite le associazioni di categoria. In alternativa alla modalità della vaccinazione diretta, è prevista inoltre la possibilità di stipulare, anche tramite le associazioni di categoria di riferimento o nell’ambito della bilateralità, specifiche convenzioni con strutture sanitarie private in possesso dei requisiti per la vaccinazione. I datori di lavoro che non sono tenuti alla nomina del medico competente o che non possano fare ricorso a strutture sanitarie private, possono invece avvalersi delle strutture sanitarie dell’Inail, con oneri a carico dell’Istituto. In questi casi il datore di lavoro direttamente, ovvero attraverso il medico competente, dovrà comunicare alla struttura sanitaria privata o alla struttura territoriale dell’Inail il numero complessivo di lavoratrici e lavoratori che hanno manifestato l’intenzione di ricevere il vaccino.

Sulla piattaforma dell’Iss un corso di formazione per il personale sanitario coinvolto. Per i medici competenti e il personale sanitario e di supporto coinvolto nelle vaccinazioni è disponibile, attraverso la piattaforma dell’Istituto superiore di sanità, un corso di formazione specifico realizzato anche con il coinvolgimento dell’Inail, che contribuirà, in collaborazione con i Ministeri della Salute e del Lavoro, alla predisposizione di materiale informativo destinato ai datori di lavoro, ai lavoratori e alle figure della prevenzione.

Aggiornati e rinnovati i protocolli condivisi del 14 marzo e del 24 aprile 2020. Il rafforzamento delle sinergie con le parti sociali passa anche attraverso il nuovo protocollo per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus negli ambienti di lavoro, sottoscritto sempre nella giornata di ieri, che aggiorna le misure contenute nei documenti condivisi il 14 marzo e il 24 aprile dello scorso anno, dopo la dichiarazione dello stato di emergenza. Le nuove misure tengono conto dei vari provvedimenti adottati dal governo, da ultimo il Dpcm del 2 marzo 2021, e dal Ministero della Salute, fornendo linee guida per agevolare le imprese nell’adozione di protocolli di sicurezza anti-contagio che consentano di coniugare la prosecuzione delle attività produttive con la garanzia di adeguati livelli di protezione.

Incentivare lo smart working e il ricorso a ferie arretrate e ammortizzatori sociali. Anche nella fase di progressiva ripresa delle attività è ritenuto opportuno il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile per le mansioni che possono essere svolte da remoto, in quanto utile strumento di prevenzione, ferma restando la necessità di garantire adeguate condizioni di supporto al lavoratore (assistenza nell’uso delle apparecchiature, modulazione dei tempi di lavoro e delle pause), mentre per le attività in presenza devono essere limitati al massimo gli spostamenti all’interno dei siti e contingentato l’accesso agli spazi comuni, anche attraverso un piano di turnazione che punti a diminuire il più possibile i contatti. Il ricorso agli ammortizzatori sociali, alle ferie arretrate e ai congedi retribuiti può inoltre rappresentare un’ulteriore alternativa al lavoro in presenza.

13 aprile 2021

Avv. Davide Lovato

L’ALCOLTEST E’ VALIDO ANCHE SE EFFETTUATO IN ASSENZA DEL DIFENSORE DI FIDUCIA

La Cassazione, con ordinanza n. 28 del 7 gennaio 2021, ha precisato che sebbene la disciplina di cui agli artt. 354 e 356 c.p.p. impone che al soggetto sottoposto ad un accertamento alcolemico sia dato avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, ciò non comporta che i verbalizzanti debbano attendere l’arrivo del difensore eventualmente nominato per procedere all’effettuazione del test.

La Cassazione ha, in particolare, precisato che non è previsto che, una volta dato l’avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore, si debba attendere un intervallo temporale minimo dall’avviso stesso prima di procedere all’esecuzione di un valido alcoltest.

25 febbraio 2021

Avv. Davide Lovato

LA MULTA CON AUTOVELOX NON E’ VALIDA SE NON VIENE INDICATO IL DECRETO PREFETTIZIO

La Cassazione, sezione II, con l’ordinanza n. 623 del 15 gennaio 2021, ha stabilito che la mancata indicazione del decreto prefettizio ex art. 4 L. n. 168/2002 (decreto che individua le strade ove è consentito il rilevamento della velocità con dispositivi elettronici, senza obbligo di contestazione immediata) nel verbale di contestazione per eccesso di velocità integra un vizio di motivazione del provvedimento sanzionatorio; ciò pregiudica il diritto di difesa e non è quindi rimediabile nella fase di opposizione.

La violazione del suddetto obbligo consentirebbe un illegittimo e arbitrario potere in capo alla Pubblica Amministrazione e alle Forze dell’ordine di poter installare autovelox illimitatamente.

Il Ministero dell’Interno, con una propria circolare esplicativa, aveva già chiarito che l’ambito territoriale di utilizzo dei dispositivi di accertamento della velocità è circoscritto chiaramente solo alle autostrade, strade urbane principali, strade extraurbane secondarie e strade urbane di scorrimento, così come classificate dall’art. 2 del Codice della Strada.

Nelle strade non rientranti fra quelle in esame è quindi sempre necessario un provvedimento prefettizio di autorizzazione ad usare apparecchiature elettroniche automatiche senza presidio per il rilevamento dei limiti di velocità.

In conclusione, tale provvedimento dovrà essere riportato nel verbale di contestazione; se non presente l’automobilista potrà impugnare la multa notificatagli.

24 febbraio 2021

Avv. Davide Lovato

SINISTRI STRADALI E PERDITA DEL RAPPORTO DI LAVORO A CAUSA DELLE LESIONI

La Cassazione, con l’ordinanza n. 28071 del 9 dicembre 2020, ha chiarito il parametro di liquidazione del danno patrimoniale da lucro cessante conseguente alla perdita del lavoro a tempo indeterminato da parte del danneggiato in un sinistro stradale.

Gli ermellini hanno infatti enunciato che «Laddove il danneggiato dimostri di avere perduto un preesistente rapporto di lavoro a tempo indeterminato di cui era titolare, a causa delle lesioni conseguenti ad un illecito, il danno patrimoniale da lucro cessante, inteso come perdita dei redditi futuri, va liquidato tenendo conto di tutte le retribuzioni (nonché di tutti i relativi accessori e probabili incrementi, anche pensionistici) che egli avrebbe potuto ragionevolmente conseguire in base a quello specifico rapporto di lavoro, in misura integrale e non in base alla sola percentuale di perdita della capacità lavorativa specifica accertata come conseguente alle lesioni permanenti riportate, salvo che il responsabile alleghi e dimostri che egli abbia di fatto reperito una nuova occupazione retribuita, ovvero che avrebbe potuto farlo e non lo abbia fatto per sua colpa, nel qual caso il danno potrà essere liquidato esclusivamente nella differenza tra le retribuzioni perdute e quelle di fatto conseguite o conseguibili in virtù della nuova occupazione».

15 Febbraio 2021

Avv. Lovato Davide

COVID-19: INFORTUNIO SUL LAVORO E RISARCIBILITÀ

L’art. 42 del “Decreto Cura Italia” (DL n. 18/2020 convertito con modificazioni dalla legge n. 27 del 24 aprile 2020), al comma 2 definisce il riconoscimento della tutela infortunistica nei casi accertati da Covid-19 in occasione di lavoro.

Ebbene, secondo tale disposizione, l’infezione da Covid-19 contratta in occasione di lavoro è dunque qualificata quale infortunio, con i conseguenti profili di responsabilità in capo al datore di lavoro e il diritto al risarcimento a favore del lavoratore (o della famiglia in caso di morte a causa di Covid-19).

Peraltro, la circolare dell’INAIL n. 13 del 3 aprile 2020 introduce una presunzione semplice di origine professionale del contagio da Covid-19 operante a favore di alcune categorie di lavoratori (vedasi gli operatori sanitari), sulla base del fatto di una maggiore esposizione al rischio in ragione delle loro particolari mansioni.

In ogni caso, per qualunque tipologia di lavoratore (per ottenere – oltre all’indennità INAIL – un importante risarcimento da parte dell’azienda pubblica o privata) sarà necessario riuscire a dimostrare secondo i criteri che fondano la responsabilità civile e/o penale l’esistenza di omissioni e/o negligenze da parte del datore di lavoro.

Affinché vengano accertati dei profili di colpa e quindi ottenere un congruo risarcimento sarà necessario valutare l’eventuale violazione dei presupposti previsti dal combinato disposto dell’art. 2087 e dell’art. 29-bis, del d.l. 8 aprile 2020, n. 23 (Misure di sicurezza previste dai Protocolli).

Per ogni ulteriore informazione e in caso di richiesta di assistenza non esitare a prendere contatti tramite la seguente sezione.

1 Febbraio 2021

Avv. Lovato Davide

MORTI SUL LAVORO: SERVE PIU’ PREVENZIONE E RISPETTO DELLE NORME SULLA SICUREZZA

Infortuni mortali sul lavoro: un dramma che in Veneto – secondo i dati forniti dall’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro Vega Engineering di Mestre – segna per l’anno dell’epidemia un aumento del 15%.
In generale, in Italia si sono registrati ben 1151 morti sul lavoro da gennaio a novembre 2020 (periodo su cui si basano i dati pubblicati lo scorso dicembre dall’Osservatorio) e ben il 31% di esse è dovuto al Covid-19.
Su quest’ultimo punto, il Decreto Legge n. 18/2020 (“Cura Italia”), all’articolo 42, comma 2 dispone che qualora un lavoratore venga contagiato dal Coronavirus in ambito lavorativo, l’Inail è tenuto a classificare il contagio come infortunio sul lavoro, con tutte le responsabilità che ne conseguono per il datore di lavoro: il dipendente (o, in caso di morte, i familiari del lavoratore) – se dimostra di aver contratto il contagio nello svolgimento dell’attività lavorativa – potrebbe infatti rivalersi sull’azienda per richiedere il risarcimento dei danni subiti. Sto seguendo anche questa particolare tematica in quanto si stanno verificando sempre più casi del genere soprattutto all’interno del sistema sanitario ospedaliero e nelle strutture private di ricovero.
Con l’aggiungersi di queste nuove problematiche diventa ancora più indispensabile il rispetto delle norme per la sicurezza sul lavoro.
D’altro canto, si sta verificando una netta presa di posizione da parte delle istituzioni e degli organi giudiziari sul tema: recentissime pronunce delle Corte di Cassazione stanno infatti rimarcando in modo netto i confini di conoscibilità, prevedibilità e prevenzione dei rischi e degli eventi lesivi per i lavoratori e il perimetro dell’obbligo di previsione dei rischi che si devono evitare è stato ben definito.
La Cassazione si esprime in questi termini: quand’anche l’infortunio del lavoratore deriva da un evento definito “raro”, in quanto ‘non ignoto’, esso è sempre prevedibile e come tale deve essere previsto, in quanto trattasi di un rischio specifico e concretamente valutabile. L’evento raro, infatti, non è l’evento impossibile; anzi è un evento che, per definizione, prima o poi si verifica.
In questo senso, la mancata osservazione di un evento simile a quello mai realizzatosi all’interno dell’azienda, non esime il datore di lavoro dalla previsione della sua realizzazione e dall’adozione delle misure idonee alla sua prevenzione. Ciò a maggior ragione laddove tali misure siano state previste e ciononostante non siano state adottate nella procedura aziendale.

18 Gennaio 2021

Avv. Lovato Davide

BRENDOLA: INCIDENTE ACCADUTO NELL’OTTOBRE 2016

17 Gennaio 2021

Avv. Davide Lovato